C'era una volta...


C’era una volta, lontano lontano, su un monte molto alto, un immenso e magnifico Castello, luogo misterioso e irraggiungibile, che la leggenda descriveva come dimora di esseri sconosciuti.
Nel villaggio situato alle falde del monte viveva Krisch,un ragazzo felice e vivace, che abitava con il nonno in una graziosa casetta vicina al fiume…
Krisch da sempre desiderava salire fin lassù, a quella mitica dimora che, osservandola dal villaggio, pareva alzarsi fin sopra il cielo. Aveva anche espresso questo suo desiderio, un giorno, al nonno, ma gli era stato fermamente raccomandato di non pensare più a queste cose, e di accontentarsi di vivere bene, da buon ragazzo, al villaggio,… Che lassù non era il posto per nessuno, che mai ci si sarebbe potuti avventurare fino là,…Ma più trascorrevano i giorni, più nella mente del ragazzo si accentuava il desiderio di lasciarsi affascinare da quel Castello; e le raccomandazioni del nonno apparivano sempre meno efficaci per trattenere una risposta affermativa a quello che stava sempre più divenendo parte della vita di Krisch. Dalla sua stanza, il ragazzo ammirava incantato quella realtà che, pur rimanendo lassù immobile, suscitava in lui il movimento del cuore e della mente, orientando ancor di più la vita a quel Castello che pareva emanare ogni bene. Il nonno, che spesso lo aveva sorpreso alla finestra, gli ripeteva i richiami, come da sempre, ma l’atteggiamento del ragazzo lo contagiava e lo faceva restare ammirato, al punto che non soltanto aveva da tempo addolcite le raccomandazioni, ma pure lui, il nonno, qualche volta, aveva iniziato a spiare, attraverso le tendine della finestra della propria stanza, per lasciare che quel Castello posto lassù si avvicinasse anche a lui, entrando un poco alla volta nei suoi interrogativi e nel suo interesse. E così, se da un lato Krisch, accanto al fascino verso il Castello, che gli veniva suggerito dal cuore, poneva la prudenza e il timore verso di esso, accogliendo le raccomandazioni della saggezza del nonno, dall’altro lato il nonno, pur conservando la prudenza e il timore verso la realtà del Castello, come sempre,tuttavia, dall’atteggiamento del ragazzo aveva iniziato a porre quella realtà un po’ più vicina alle proprie considerazioni. Per entrambi, comunque, il Castello costituiva sempre più una realtà interessante. Una sera il nonno entrò nella stanza di Krisch e si mise accanto a lui a guardare fuori dalla finestra, lassù, al Castello; cercando di nascondere il suo interessamento a quella realtà, si rivolse al ragazzo: “Ma che ci trovi di interessante e bello a startene qui a osservare a lassù?” gli chiese con un tono un po’ severo. Il ragazzo tacque qualche istante, poi si volse e chiese: “Nonno, ma secondo te c’è vita lassù?”. L’anziano lo guardò negli occhi, poi rispose con dolcezza: “Non penso proprio, Krisch…Dev’essere abbandonato da tempo quel luogo…e di vita certo non ce n’è. Però ci piace pensare, come dice la leggenda, che vi abitino degli esseri sconosciuti” e sorrise,volgendo di nuovo lo sguardo al Castello. Anche il ragazzo volse di nuovo lo sguardo, osservando alla cima del monte, poi disse: “Ma perché mi interessa tanto, se non c’è nemmeno vita, se è un posto abbandonato?”. Il nonno rimase per un poco pensoso a osservare il Castello, come se la domanda del ragazzo non l’avesse ascoltata; si avviò verso la porta della stanza, esclamando: “Eh!…da piccolo,Krisch, anch’io vedevo la vita e la gioia dappertutto, anche là dove non c’era affatto; poi, la vita ci insegna a vedere ciò che c’è veramente, e non quello che noi ci immaginiamo di essa… Crescendo, anche tu comincerai a vedere le cose come veramente sono, e ti accorgerai che il Castello è là, così com’è e basta”. “Ma nonno, perché allora mi interessa tanto?” ma la domanda non trovò ascolto: il nonno era ormai uscito e aveva richiuso la porta. “Non deve interessarmi…Ecco che cosa devo fare! – disse tra sé il ragazzo, distogliendo lo sguardo dal monte, e avviandosi a riposare – Devo lasciar perdere… Non mi conviene interessarmi per un Castello abbandonato”. Si distese sul letto e, dopo aver dato un ultimo fugace sguardo a lassù,si girò dall’altra parte e si addormentò. E venne la stagione delle piogge…Krisch e il nonno si ritrovavano, ancora, ogni tanto, alla finestra, per osservare quelle nuvole che, accanto ai vetri appannati, non permettevano loro di vedere molto più in là di se stessi; allora, si raccontavano le vicende della giornata o richiamavano gli impegni da svolgere, mentre la pioggia faceva da sottofondo ai loro dialoghi. Il ragazzo raccontava al nonno delle sue avventure con gli amici, di com’era andata a scuola quel giorno, di ciò che era successo al villaggio,… Il nonno, a Krisch, faceva le raccomandazioni là dove notava che il ragazzo stava, a suo parere, esagerando nell’indisciplina scolastica o nel poco rispetto dei compagni, e gli dava dei suggerimenti che egli definiva come ‘segreti’ per poter meglio vivere con se stessi e con gli altri; erano, in fin dei conti, altre raccomandazioni, ma così come le sapeva presentare al ragazzo, nel raccontarle e nel valorizzarle, non potevano essere considerate meno di ‘segreti’ personali, dai quali Krisch non poteva certamente non restare affascinato. Trascorsero così molti giorni, accompagnati dalle nuvole sempre più basse e dalle piogge sempre più intense…Una mattina, molto presto, mentre Krisch stava dormendo e il nonno da poco si era alzato e si stava preparando il suo solito caffè, il rumore della pioggia venne coperto da un vociare sempre più intenso e che si faceva sempre più vicino… Pareva stesse per giungere, là fuori, una marea di gente; il nonno, sorbendo il caffè, si avvicinò alla finestra e scostò la tenda. Sotto la pioggia e tra la foschia, un gruppo notevole di persone si stava dirigendo verso la sua casa; il loro parlare era confuso, ma si capiva, nel loro avvicinarsi, che stavano ansimando e che cercavano un rifugio. Il nonno abbandonò la tazza di caffè sul tavolo, corse alla porta e aprì. Gli si presentò di fronte una fiumana di gente, che stava risalendo per il sentiero che passava accanto alla casa; uomini, donne e bambini, riparandosi alla meglio dalla pioggia, recando borse e bagagli alla rinfusa, si incitavano gli uni gli altri a proseguire, a non fermarsi; con molta difficoltà, scivolando nel fango e tenendosi la mano, procedevano a rilento, mentre, da giù sotto, gli ultimi delle file incitavano e imprecavano, perché si proseguisse. “Ehi!…Ehi!.. – gridò il nonno a quelli che gli stavano passando davanti, per richiamarli – Che sta succedendo?…Dove state andando?…Ehi, dico a voi!… Rispondetemi!…”. Ma tutti continuavano il loro difficoltoso cammino, dimenandosi tra i bagagli e i compagni che li pressavano in quello stretto sentiero. Il nonno, afferrando con forza il braccio di uno, gli gridò: ”Ma che vi sta succedendo? Dove andate?”. “…La diga!…- gridò quello svincolandosi – La diga ha ceduto!…” e riprese l’affannosa salita. Il nonno ammutolì, e volgendo lo sguardo nella nebbia, in direzione della diga, rimase come pietrificato. Nel frattempo Krisch, svegliato da quell’insolito vociare, venne all’uscio di casa; osservando quello che stava avvenendo, prese tra le sue la mano del nonno, chiedendo intimorito:“Nonno, che cosa succede?”. “Presto, Krisch, vestiti e preparale tue cose…Dobbiamo andarcene al più presto!” e lo trascinò dentro. Anche se la casa si trovava più in alto, rispetto al villaggio e alla sua diga, e forse non avrebbe in quel momento corso un pericolo imminente, tuttavia, a causa della paura che lo aveva contagiato e per un calcolo di prudenza che in quel caso il nonno non considerava esagerata, la decisione fu di accodarsi a tutti gli altri. E così, da un momento all’altro, Krisch e il nonno si misero in cammino, con le poche cose che avevano considerate necessarie: un po’ di cibo, qualche vestito, pochi spiccioli. Il ragazzo, dopo qualche passo, chiamò il nonno, che lo precedeva: “Ma, nonno, perché scappiamo tutti? Cosa succede?”. Il nonno, fermandosi e passandosi la mano sul volto bagnato, esclamò affannato: “…La diga!…Si è rotta, e ora l’acqua sta invadendo il villaggio…Bisogna scappar via, finchè siamo in tempo!”. Krisch, posando a terra le borse che stava sorreggendo a fatica, osservò: “Ma, nonno, la nostra casa è più in alto… Perché non siamo restati là? Pensi proprio che una inondazione possa raggiungerla?”. “Meglio essere prudenti, in questi casi… E poi, anche per noi è meglio stare con gli altri, qualunque cosa succeda: potremmo aver bisogno di loro, come loro potrebbero aver bisogno di noi… Meglio stare insieme e aiutarsi”. Il ragazzo, con un sorriso, apprezzò quella che egli ritenne unarisposta veramente saggia e, riprendendo le borse, si volse al nonno: “Andiamo, allora, nonno, altrimenti li perdiamo tra i sentieri!”. “Andiamo, Krisch!” confermò il nonno, rimettendosi a posto lo zaino e affondando il bastone nel fango. Tra la nebbia e la pioggia quella fila di persone a fatica avanzava lungo il sentiero, allontanandosi anche da quell’ultima casa vicina al villaggio e avventurandosi in quel bosco che avvolgeva tutti quanti con i suoi alberi. Ora, mentre pian piano salivano verso l’alto, la paura si calmava e le emozioni si placavano nel cuore di ognuno; e anche attorno tutto si andava rasserenando: la pioggia era sempre meno fitta e la nebbia si diradava, quanto più si saliva; ci si fermava, ogni tanto, per riprendere fiato e vigore, e così il cammino era meno faticoso e ansioso. In una di queste pause, Krisch chiese: “Dove siamo diretti, nonno?”. “Al Castello” fu la risposta. “Ma, nonno…- esclamò sorpreso il ragazzo – …fin lassù?”. “Certo,…su al Castello, quello che osservavi da casa…e non stare lì impalato, su, cammina, altrimenti non ci arriviamo più!” lo richiamò il nonno sorridendogli e avviandosi davanti a lui. Dopo qualche attimo di smarrimento di fronte alla risposta del nonno, Krisch gli si incamminò dietro, ricominciando a considerare quella realtà che era stata da tempo accantonata e che ora riaffiorava, così importante, nella vita di tutti. Guardò lassù… Ma la cima era ancora molto lontana, e la foschia che, sebbene meno intensa, l’avvolgeva, non permetteva al ragazzo di vedere il Castello. …Quel Castello, tanto sognato, poi dimenticato per affrontare la realtà, e che ora si presentava come il luogo che accoglieva la vita,…la sua, quella del nonno, quella di tutte le persone del villaggio… E il nonno, che aveva raccomandato da sempre di non considerarlo, ora lo aveva dichiarato meta del cammino, rifugio di fronte al pericolo… Nella mente e nel cuore di Krisch riaffiorava l’interesse per il Castello, mentre esso, ora, appariva, sebbene ancora un po’ sbiadito, ad affermare la sua presenza lassù, sulla cima. Il ragazzo si fermò a contemplarlo; anche il nonno si volse a lui, e poi osservò lassù… “Ancora un poco, poi ci arriviamo” disse, pensando di interpretare la richiesta del ragazzo. “Nonno…quanto ci fermeremo là?” chiese Krisch. “Finchè non sarà passato il pericolo… Guarda laggiù: ci sono ancora le nuvole e si sente ancora lo scrosciare della pioggia…Il brutto tempo, giù, ci sarà ancora per un po’, anche se qui tu stai vedendo apparire il sole. Rimarremo lassù, in attesa di ridiscendere per risistemarci”. Giunsero al Castello nel cuore della notte… Krisch si meravigliò del fatto che, dopo tante lugubri storie riguardo a quel luogo, ora più nessuno avesse la benché minima paura nel varcarne la soglia. Lo stare insieme e il pensare a una sistemazione dopo il pericolo, certo, avevano contribuito a tutto questo, occorreva riconoscerlo,… e proprio queste erano le considerazioni che il ragazzo faceva. Ma c’era anche la constatazione, di fronte alla realtà del Castello, che esso non ispirava, da vicino, quelle fantasie terrificanti che dava ad intendere da lontano. Era, anzi, una discreta costruzione, certo un po’ fatiscente, ma non per questo terrificante, tutt’altro: esso invogliava ad esplorarlo, a entrare fino in fondo, negli angoli più reconditi, che chissà quali sorprese celavano… Ma era troppo tardi, e si era stanchi quella notte per iniziare quell’ispezione. Tutti si sistemarono, alla meglio, qua e là e, pian piano, si addormentarono. Krisch e il nonno si erano sistemati in un angolo del salone che dava sul cortile e cercavano di dormire. Ma, nonostante la stanchezza, né l’uno né l’altro erano ancora riusciti a prendere sonno, non tanto per la paura avuta nell’esperienza di quella giornata, cosa che ormai stava calmandosi, quanto per lo stupore e la meraviglia di essere lì, al Castello. Nel ragazzo era la gioia a prendere il sopravvento sul sonno, il recupero di tutte le realtà e gli atteggiamenti che un tempo aveva celato nel suo cuore come fantasie, e che ora emergevano come realtà: il Castello non solo era vivo e vero, ma in esso ci stava lui, proprio lui! E mentre il ragazzo si rendeva conto di ciò, il nonno prendeva sempre più coscienza del proprio interesse per quel Castello che, apparentemente ed esteriormente aveva sempre ritenuto una realtà dei bambini e una cosa morta e abbandonata, mentre ora si ritrovava a viverci dentro, lui, un adulto, rifugiato tra quelle mura antiche. Ripercorreva il tempo della sua infanzia, di come egli fosse cresciuto con il timore per quel Castello, mentre ora non poteva far altro che rimproverarsi quelle paure; osservava il ragazzo che, disteso accanto, si girava e rigirava… E provava ammirazione per lui che aveva avuto il desiderio del Castello fin da sempre…e rimproverava a se stesso il fatto di avergli impedito di crescere in quei desideri… Ma ora, erano cose passate…“Cerchiamo adesso di dormire, eh…” disse rivolto al ragazzo, che mugugnò una risposta affermativa… E dopo un poco, si addormentarono. Tutti trascorsero parecchi giorni felici al Castello… Finchè, un giorno, gli uomini si riunirono e decisero che era giunta l’ora di ridiscendere a valle: alcuni di loro, tornati da una previa esplorazione, avevano riferito che le piogge erano finite, che il pericolo di inondazione era ormai passato, e che questo era il momento utile per risistemare il villaggio. E così, per parecchi giorni, gli uomini in grado di lavorare scendevano a valle il mattino presto e tornavano la sera inoltrata al Castello; in pochi mesi, con il lavoro e la buona volontà di tutti, si rimise a posto il villaggio, e la diga funesta venne risistemata più a valle. Anche Krisch e il nonno erano scesi per aiutare il lavoro di ricostruzione; e la loro casa, risparmiata dall’alluvione, era stata resa disponibile come sede organizzativa dei lavori e come magazzino degli attrezzi. Quando tutto fu sistemato, si decise di fare ritorno, tutti quanti, al villaggio. Quel giorno dell’addio al Castello fu un momento triste per tutti: in esso tutta quella gente si era scoperta come una grande famiglia e aveva imparato a vivere realtà profonde, quali l’amicizia, il dialogo, lo stare insieme, comunicando le gioie e i problemi… Era la casa per tutti, e ora il lasciarlo rendeva tutti un poco tristi. “Dobbiamo tornare laggiù… Quella è la nostra realtà – rammentò il nonno a Krisch – dispiace anche a me, come certo a tutti. Ma il Castello deve rimanere ‘il Castello’, non può diventare la nostra casa, anche se lo è stato per questi momenti. Noi dobbiamo tornare laggiù, Krisch, quella è per noi la situazione da vivere”. Il ragazzo annuì, con dispiacere, ma convinto dalle parole del nonno; salutò con un gesto della mano il Castello, come fosse un amico, e si avviò; anche il nonno, dopo un sorriso riconoscente, fece lo stesso. La sera seguente, tutti erano sistemati al villaggio… Krisch, alla finestra, osservava con nostalgia, lassù, il Castello illuminato dalla luna; il nonno, ponendogli dolcemente la mano sulla spalla e volgendo lo sguardo nella stessa direzione, disse: “Ora, Krisch, sappiamo che lassù la vita c’è”. Il ragazzo, volgendosi al nonno, confermò: “Sì…c’è”.